Partecipare, Contribuire, Reciprocare

il lavoro dei cittadini in situazione di handicap

IL PROBLEMA DELL’INSERIMENTO: LA SITUAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO

In questo momento storico l’occupazione dipendente è in crisi, sia per l’elevato numero di posti di lavoro cancellati dalla recessione, sia per le richieste prestazionali (produttività, flessibilità) che la competizione globale impone, che risultano per molti lavoratori insostenibili. Considerare quindi l’inserimento lavorativo dei cittadini in situazione di handicap, con significative riduzioni delle capacità produttive, solo nell’ottica dell’assunzione stabile in azienda è limitativo e soprattutto poco efficace: gli inserimenti risultano molto limitati numericamente, e soprattutto riservati a pochi individui con caratteristiche particolari e limitata riduzione delle capacità lavorative. E comunque: questi inserimenti sono i primi ad andare in crisi, perché questi lavoratori restano in ogni caso estremamente fragili all’interno di un mercato che li “stritola” con le sue imposizioni.

Le poche aziende disponibili ad assumere lavoratori in situazione di handicap (perché “obbligate” ai sensi della Legge 68/99, o perché particolarmente sensibili), richiedono competenze e prestazioni poco compatibili con la normale condizione di disabilità; in questa situazione si stanno venendo a trovare ormai anche le cooperative sociali di tipo B, tradizionale “serbatoio” di occupazione per i soggetti con maggiore disabilità: alla riduzione/peggioramento delle commesse pubbliche (che ha innescato una “guerra dei poveri” al ribasso fra le sempre più numerose cooperative), fa riscontro anche una competizione fra diverse tipologie di svantaggio, che si contendono lo stesso bacino di attività lavorative. In questa “gara” di sopravvivenza, i soggetti in condizione di handicap sono svantaggiati fra gli svantaggiati!

Occorre quindi trovare nuovi spazi di inserimento: un problema non solo e non principalmente normativo, che richiede invece un ripensamento del paradigma del lavoro.

UN NUOVO MODO DI CONCEPIRE L’INSERIMENTO LAVORATIVO

Al di là delle dichiarazioni di principio (che tuttavia restano pienamente valide), ed a fondamento di esse, quali sono i valori del “lavoro” per i quali è auspicabile/doveroso che le persone (tutte, tra cui anche quelle in situazione di handicap) abbiano occupazione?

Il lavoro (nelle sue forme migliori), assolve diverse funzioni:

  • Attribuisce un ruolo sociale (visibilità, riconoscibilità, importanza) alla persona che lo svolge;
  • Consente/favorisce una relazionalità forte, fondata su rapporti pervasivi, continuativi e collaborativi;
  • Sviluppa/rinforza nella persona capacità motorie e cognitive;
  • Distribuisce un reddito che, oltre a garantire la sopravvivenza fisica, fornisce le risorse monetarie per accedere, attraverso i meccanismi di mercato, alle tre precedenti funzioni.

È evidente, anche se non scontato, che non la sola forma lavorativa del “lavoro dipendente” assolve le funzioni di cui sopra; anzi, in questa particolare congiuntura socio-economica, spesso l’attività lavorativa dipendente è particolarmente carente in alcuni, se non in tutti, gli aspetti sopra indicati. Occorre quindi sperimentare quali altre forme di attività lavorativa possono essere funzionali ad assolvere i compiti individuati.

Avvalendosi delle elaborazioni contenute nella pubblicazione “MERCATO E BENI DI RECIPROCITÀ (Riflessioni preliminari alla definizione del piano di lavoro 2010 – 2014 dell’Osservatorio sull’economia civile della Camera di commercio di Torino)” a cura di Pierluigi Ossola e Anna Cugno, si possono interpretare le funzioni del lavoro secondo il modello del premio Nobel per l’Economia A. Sen.

Attingendo alla pubblicazione sopra citata: “I principali concetti di cui Sen si avvale sono quelli di: capacitazione, funzionamento e attribuzione. Capacitazione corrisponde al termine inglese capability, che è molto più di competenza: è la possibilità di esercitare le competenze che si possiedono. Per esempio, se una persona ha la qualifica di cuoco significa che ha la capacità di cucinare. Ma se a quella stessa persona fosse impedito di entrare in cucina non avrebbe la capacitazione di cucinare. Se in un certo paese fosse proibito alle donne di esercitare la professione di medico, in quel paese tutte le donne con la qualifica di medico non avrebbero la capacitazione di curare, cioè di scegliere se esercitare o meno la professione di medico. (…). Le attribuzioni sono l’insieme dei beni (materiali, culturali, ecc.) di cui una persona ha la disponibilità in base ai diritti e alle opportunità di cui si può avvalere. I funzionamenti sono ciò che un individuo sceglie di fare, ad esempio svolgere un certo lavoro, sposare una certa persona, avere o meno figli, abitare in un determinato luogo, ecc. La scelta dei funzionamenti che ciascuno può attuare è limitata dalle capacitazioni che possiede.” (ibidem). Il modello di Sen è pienamente applicabile all’interpretazione del lavoro considerata: le capacitazioni fanno riferimento alle capacità, ma anche al ruolo sociale e alle relazioni che permettono di esercitarle; le attribuzioni considerano il reddito, ma anche il capitale sociale (relazioni e cooperazione) che l’individuo ha a disposizione; per quanto riguarda i funzionamenti, essi sono l’attuazione dei diritti di cittadinanza: “la combinazione dei funzionamenti effettivi di una persona rispecchia la sua vita reale, mentre l’insieme delle capacitazioni rappresenta la sua libertà, cioè le combinazioni alternative di funzionamenti tra cui può scegliere.” (ibidem). “I funzionamenti sono frutto di scelte individuali e hanno, perciò, grande valenza soggettiva, mentre le capacitazioni sono il risultato oggettivo e valutabile di politiche. Le capacitazioni che possediamo, oltre a renderci possibile la scelta di determinati funzionamenti, sono anche gli strumenti che possiamo utilizzare per effettuare queste scelte (…)” (ibidem).

Si è detto che questi strumenti teorici sono utili a inquadrare e progettare politiche attive di inserimento lavorativo per le persone in situazione di handicap; in primo luogo per quanto riguarda l’aspetto del “rinforzo” dell’autonomia e dell’occupabilità, che può essere definito come un ampliamento delle capacitazioni: si consideri infatti che “l’estensione delle capacitazioni, che Sen pone in relazione diretta con il miglioramento della qualità della vita, deve essere intesa sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi. È, infatti, possibile disporre di capacitazioni riguardanti non solo la sfera dei consumi, ma anche quella delle relazioni, della creatività, ecc… Ciascuna capacitazione può essere considerata come il risultato della disponibilità da parte di un soggetto (individuale o collettivo) di determinate attribuzioni, cioè di panieri di risorse (beni) materiali e immateriali e delle libertà/capacità di utilizzarli. Il reddito aumenta la possibilità di disporre di certe tipologie di beni, ma questo non è sufficiente per estendere sia le capacitazioni sia le capacità di scelta dei propri funzionamenti.” (ibidem). Occorre quindi operare per ampliare le skills e le abilità cognitive della persona attraverso appositi percorsi, e costruire reti di relazioni ove queste abilità possano essere esercitate, ed eventualmente supportate…

Secondariamente si deve riflettere sulla (non) scontata equivalenza fra “attribuzioni” e reddito monetario derivante dall’attività lavorativa. Le attribuzioni sono un concetto sovraordinato rispetto al denaro, “Poiché (…) una parte delle risorse (attribuzioni) necessarie per estendere le capacitazioni non risponde ai meccanismi del mercato, ovvero non è acquisibile con scambi basati sul denaro, (…) non è sufficiente per garantire l’estensione delle capacitazioni (…)” (ibidem).

Occorre quindi considerare che, come già evidente dall’analisi delle funzioni del lavoro, questo non si esaurisce nel reddito monetario che distribuisce, anzi ci sono dimensioni che questo normalmente occulta e che devono essere necessariamente implementate attraverso altre logiche: e questo è un bene, visto che per molte persone il reddito da lavoro dipendente è (e diventerà sempre più) un obiettivo irraggiungibile.

Da cui se ne desume la prima importante affermazione per la costruzione di un modello più complesso di inserimento lavorativo: si deve considerare inserimento un’attività produttiva che non abbia come (unica) conclusione un lavoro dipendente stipendiato, ma che produca, per chi la fa, capacitazioni ed attribuzioni.

LOGICA DI MERCATO O LOGICA DI RECIPROCITÀ?

Ogni attività produttiva è finalizzata alla creazione di “valore”, a partire da input dati, mediante l’azione del lavoratore. Ovvero, lavoro è ciò che crea beni o servizi grazie all’attività di una persona che vi investe le proprie capacità ed energie.

Alla luce di quanto detto sopra, quale attività genera più valore grazie all’impegno una persona in situazione di handicap? Tutte le attività sono utilmente ed ugualmente valide al fine di fare inserimento lavorativo?

Per approfondire questo tema ci si serve, ancora, delle considerazioni contenute nella pubblicazione “MERCATO E BENI DI RECIPROCITÀ (Riflessioni preliminari alla definizione del piano di lavoro 2010 – 2014 dell’Osservatorio sull’economia civile della Camera di commercio di Torino)” a cura di Pierluigi Ossola e Anna Cugno, analizzando la distinzione fra “beni di confort” e “beni di creatività o di relazione”, e la correlata dicotomia “beni di mercato”/”beni di reciprocità”.

Citando il lavoro di Tibor Scitovsky “I beni di comfort rendono la vita confortevole, danno riposo, calmano lo stress e gli stimoli in generale. Si tratta di beni di cui si può entrare in possesso semplicemente acquistandoli sul mercato se si dispone di denaro sufficiente; sono generalmente beni che si presentano sotto forma di oggetti o di servizi. I beni di creatività si distinguono dai beni di comfort perché rendono la vita intensa, aumentano le capacità delle persone, invogliano ad affrontare nuovi problemi e danno da pensare. Questi beni non sono acquisibili sul mercato tramite esborso di denaro. Sono generalmente beni immateriali che si manifestano principalmente nelle relazioni: per questo molti autori li definiscono come beni relazionali.” (ibidem). Importante notare che i “beni di confort”, quanto più aumentano, tanto meno sono di soddisfazione, ovvero la loro “utilità marginale” diminuisce (regola dei rendimenti decrescenti); al contrario, i beni relazionali o di creatività quanto più crescono tanto più generano soddisfazione, in quanto si approfondiscono le abilità, si migliorano le conoscenze, si affina la sensibilità e la reattività…

È evidente come le capacitazioni di cui parla Sen, e le attribuzioni, siano profondamente correlate sia con beni di confort che con i beni di relazione: ma mentre i beni di confort sono acquistabili sul mercato mediante un reddito adeguato, i beni di relazione debbono essere acquisiti attraverso altre vie.

Il mercato, che caratterizza le moderne economie e che ne ha consentito il grande sviluppo, si basa sulla continua ricerca di equilibri dinamici tra domanda e offerta, che si traducono nel valore monetario di ciascun bene. Per questo i beni acquisibili tramite esborso di denaro vengono chiamati beni di mercato. Esiste un principio capace di svolgere per i beni non monetizzabili (beni relazionali, ecc.), una funzione corrispondente a quella che svolge il mercato per i beni monetizzabili? L’ipotesi che proponiamo è che il meccanismo corrispondente al mercato, che agisce per regolare la produzione e la diffusione dei beni di creatività – siano essi di tipo culturale, artistico o relazionale – può essere identificato nei circoli virtuosi di reciprocità che comprendono quell’insieme di processi/reazioni a catena che caratterizza l’offerta e la domanda di beni non monetizzabili. Per questo, in analogia con l’espressione beni di mercato nel seguito indicheremo i beni non monetizzabili con l’espressione beni di reciprocità.” (ibidem).

Ciò che è intermediato dal mercato è soggetto al trade-off domanda/offerta: ovvero il suo prezzo è correlato alla competizione fra i produttori; in una logica di globalizzazione questo comporta un accento sulla produttività e sulla flessibilità che mette fuori gioco molti lavoratori in situazione di handicap (del resto è deleterio anche per tutti gli altri lavoratori!). L’intuizione alla base di questa riflessione è che ciò che invece è soggetto alle regole della reciprocità, ovvero allo scambio basato sul valore di uso di ciò che è veicolato fra il produttore ed il fruitore, sia alla portata della persona in condizione di disabilità: sia perché essa è perfettamente in grado di realizzare ottimi “prodotti relazionali”, sia perché nel farlo può acquisire capacitazioni ed attribuzioni che la rendono (sufficientemente) autonoma.

Nella realtà “Un certo numero di beni, in particolare quelli artistici e culturali ma anche molti beni relazionali, hanno proprietà sia di beni di mercato sia di beni di reciprocità. Lo stesso vale per la maggior parte dei servizi e, in particolare, per quelli sociosanitari e di cura. Se ci si limita nell’erogazione e/o nella fruizione a considerarne i soli aspetti di comfort perdono il valore di reciprocità di cui sono potenzialmente portatori e si riducono ad essere semplici beni di mercato. È una perdita importante perché il valore non monetizzabile (di creatività/reciprocità) di molti beni, ha diretta rilevanza rispetto al loro contributo sia nell’estendere le capacitazioni e con esse la qualità della vita” (ibidem). In questo progetto si postula anche il viceversa: molti beni di mercato hanno incorporata una componente relazionale (capace di sviluppare capacitazioni e fornire attribuzioni sia in cui li produce che in chi li utilizza), che può e deve essere resa evidente e potenziata, al fine di utilizzare il meccanismo della reciprocità, grazie al fatto di essere realizzati da lavoratori in situazione di handicap.

Come dice l’Osservatorio: “Una caratteristica importante di molti beni di mercato riguarda, infatti, come abbiamo evidenziato, il loro poter essere anche beni di reciprocità. In altre parole si può affermare che spesso i beni di mercato – comprendendo in questa dicitura sia prodotti che servizi – sono un veicolo che trasporta e aiuta a diffondere beni di reciprocità. Si può, quindi, ipotizzare che tra beni di reciprocità e beni di mercato si possano stabilire legami di tipo simbiotico utili a valorizzare sia i beni di mercato sia quelli di reciprocità. Poiché, però, i beni di reciprocità non hanno un valore di mercato, un bene di mercato che li veicoli ed uno che ne sia privo hanno lo stesso valore monetario anche se sono gravati da costi diversi di produzione. Generare la componente di reciprocità di determinati beni e servizi comporta dei costi.” (ibidem).

Ovvero: perché beni e servizi di mercato estendano e potenzino le loro componenti relazionali, ed essere scambiati in regime di reciprocità, esplicando così le loro potenzialità di generatori di capacitazioni e conferitori di attribuzioni, occorre mettere in atto azioni positive, cioè “politiche attive”. Occorre “recuperare modalità di relazioni sociali dimenticate e a promuovere una rete di solidarietà concreta e responsabilizzante. In base a tale principio, chi dà non ottiene restituzione (solo o principalmente) dal suo stesso beneficiario ma dal sistema (di volta in volta rappresentato da uno dei suoi membri) e, pertanto, chi riceve è chiamato (non obbligato) a restituire ad un terzo assolutamente estraneo allo scambio originario, in un circolo di reciprocità indiretta.” (ibidem).

IL VALORE DELLA PRODUZIONE DI RECIPROCITÀ PER L’INSERIMENTO LAVORATIVO

Ricapitolando:

  • L’attività lavorativa è volta a potenziare, nell’individuo (in condizioni di handicap) che la svolge, capacitazioni ed a conferire attribuzioni, soprattutto grazie alla componente relazionale intrinseca a (molti) beni/servizi; questa componente va potenziata, per quanto possibile, in modo da rendere più efficace l’attività lavorativa in funzione dell’integrazione sociale.
  • Il mercato, in epoca di globalizzazione e di sfrenata competizione non è la forma migliore per veicolare le componenti relazionali (dei beni/servizi); anzi, il meccanismo di trade-off domanda/offerta penalizza pesantemente i prodotti/servizi realizzati da lavoratori in situazione di handicap, in quanto non competitivi economicamente (prezzo). Ovvero nelle aziende, le prestazioni offerte da lavoratori in situazione di handicap non sono all’altezza delle richieste del mercato.
  • Il modello di inserimento finalizzato all’inserimento con contratto di lavoro dipendente, in quanto considera il “lavoro” come “merce” pienamente soggetta alla regolazione di mercato, non è la forma migliore di avviamento al lavoro di persone in situazione di handicap con ridotte capacità lavorative; non è la forma migliore né per il lavoratore né per l’azienda.
  • Occorre quindi costruire nella comunità un “sistema di reciprocità” atto a valorizzare le prestazioni offerte da lavoratori in situazione di handicap, i beni/servizi da loro prodotti; questi beni/servizi debbono essere studiati in modo da rinforzare la loro componente relazionale: in tal modo assolvono in modo efficace la loro funzione di potenziare nell’individuo (in condizioni di handicap) capacitazioni e conferire attribuzioni.
  • Questa “produzione di reciprocità”, intesa come costruzione di un sistema di relazioni e come realizzazione di beni e servizi ad alta componente relazionale, deve essere sperimentata ed implementata grazie a politiche attive sostenute dalla collettività e dal sistema delle imprese, in quanto si configura come alternativa e complementare (sussidiaria) ai due sistemi dello Stato e del Mercato.

Nella ricerca sulle origini economiche del nostro tempo Karl Polanyi distingue quattro forme di regolazione economica, ciascuna delle quali associata ad un modello istituzionale:

1. l’amministrazione domestica, che consiste nel produrre per il proprio uso, nel provvedere ai bisogni del proprio gruppo;

2. la reciprocità, corrispondente al rapporto stabilito tra varie persone mediante una successione durevole di doni;

3. la redistribuzione, per cui la produzione o una sua parte, anche in forma monetaria, è consegnata ad un’autorità che ha la responsabilità di distribuirla. La principale autorità che gestisce i processi di redistribuzione è oggi lo Stato, la cui opera è integrata da quella di opere filantropiche di varia origine e finalità; (…)

4. il mercato, luogo d’incontro di domanda e offerta di beni e servizi ai fini dello scambio regolato dal confronto tra domanda e offerta per la fissazione dei prezzi.

La reciprocità è, quindi, il processo di regolazione economica complementare a quello rappresentato dal mercato. Essa è parte importante anche dei processi di regolazione identificati da K. Polanyi come economia domestica e redistribuzione.” (ibidem).

Quali attori privilegiati che attuano la sussidiarietà, da sempre impegnati nel realizzare beni/servizi ad alto contenuto relazionale, le cooperative sociali sono i soggetti più attrezzati per sperimentare ed implementare la “produzione di reciprocità”.

COME ORGANIZZARE LA RECIPROCAZIONE

Alla luce di quanto detto sopra le fasi per strutturare un’esperienza di reciprocazione che coinvolga persone in situazione di handicap non inseribili nel mercato del lavoro ordinario sono:

  • definizione dei “funzionamenti” delle persone, secondo la filosofia ICF, in modo da evidenziare le competenze professionali e la motivazione allo svolgimento di un’attività produttiva organizzata; è importante anche evidenziare gli ambiti di reciprocazione richiesti/desiderati dalle persone;
  • individuazione di bisogni scoperti o poco presidiati della comunità di appartenenza; tali bisogni, se possibile, debbono poter essere soddisfatti da beni o servizi ad alto contenuto di relazionalità; della comunità locale fanno parte i cittadini singoli, le istituzioni pubbliche e le aziende;
  • coinvolgimento dei soggetti reciprocatori e delle prestazioni/beni reciprocate (ovviamente i reciprocatori sono beneficiari, diretti o come stakeholders, delle prestazioni svolte dalle persone in situazione di handicap coinvolte nel progetto); definizione di relazioni ed accordi che strutturino in modo stabile la reciprocazione;
  • costruzione della “rete sociale” che condivide il progetto e ne garantisce la riconoscibilità/sostenibilità presso la comunità locale;
  • attivazione del normale processo di addestramento alla mansione e di svolgimento dell’attività. In questa fase è compresa l’attivazione delle forme contrattuali di gestione del lavoro (tirocinio con rimborso, volontariato, ecc…): è la fase che mette in gioco l’innovazione/sperimentazione normativa.