Fare politiche attive oggi, dal punto di vista dell’operatore dei servizi, è desolante.

Non ci sono (grandi) opportunità per la maggior parte delle persone inoccupate o disoccupate: questo stato di cose è la conseguenza di due situazioni, una dal lato dell’offerta (i lavoratori), una dal lato della domanda (le aziende).

Nelle aziende, oltre alle condizioni congiunturali (crisi mondiale, timori per il futuro, con l’aggravante in Italia delle peculiari situazioni burocratico- normative), agisce una tendenza irreversibile alla sostituzione degli addetti ai lavori semplici e ripetitivi con macchinari e robot: per ridurre i costi, per controllare/incrementare la produttività: ovviamente tutto ciò riduce il numero di posizioni lavorative “generiche”, a disposizione dei lavoratori (non specializzati).

Dal punto di vista dell’offerta, si sconta una mentalità vecchia che (ha) sottovaluta(to) l’importanza dell’istruzione e della formazione (specialistica) nel “valore occupabilità”: tante persone nel tempo hanno pensato che, anche in assenza di titolo di studio e, soprattutto, di competenze specifiche e consolidate, un lavoro (qualsiasi) l’avrebbero comunque trovato. Ciò ha generato coorti di (ex e potenziali) lavoratori “generici”, con bassissima spendibilità sull’attuale mercato.

L’operatore è preso da sconforto, si sente impotente. Anche perché è una situazione diffusa in tutto il mondo sviluppato. Occorre però reagire allo sconforto.

Lynda Gratton nel suo libro: “Il salto. Reinventarsi un lavoro al tempo della crisi”, analizza alcuni scenari futuri possibili, da cui si possono trarre utili indicazioni per provare a cambiare la situazione. Naturalmente su tempi lunghi, e non senza sofferenze.

Nel libro l’autrice analizza le cinque forze che stanno cambiando la scena globale a livello economico, ambientale e sociale. Ogni forza di questo cambiamento ha aspetti positivi o negativi, il cui effetto “sistemico” (buono o cattivo) dipenderà da molteplici fattori: tra cui la nostra azione!

Le cinque forze sono:

  1. l’innovazione tecnologica:semplifica la vita ma consuma tutto il nostro tempo, ci “connette” e ci
    permette interazioni a distanza, ma ci allontana e ci estranea dal mondo “reale”;

  2. la globalizzazione:ci permette di lavorare ovunque ma ci obbliga a competere con persone di tutto il mondo;

  3. la trasformazione demografica. Nel 2025 la generazione dei “baby boomers” (i nati fra gli anni 1945-1965 circa), con l’enorme esperienza accumulata, sarà in pensione. L’aspettativa di vita si è ormai innalzata e questo pone la questione di come affrontare il problema di fino a quando lavorare e del pensionamento (nonché dei costi del mantenimento di tante persone anziane, a carico dei lavoratori attivi…);

  4. i trend sociali: il progresso nel campo industriale e dei servizi, l’istruzione, la scienza stanno rapidamente cambiando gli stili di vita e il modo di lavorare; ma questi cambiamenti (molto rapidi) lasciano indietro chi è lento od incapace di adattarsi;

  5. la riduzione delle risorse naturali:la Terra è un sistema “limitato”, sia nella quantità di risorse disponibili, sia nella capacità di “riciclo”; occorre quindi disegnare strategie di produzione che tengano conto dell’impatto ambientale. Nel futuro le imprese (ed i singoli cittadini!) dovranno trovare nuove forme di cooperazione e perseguire scopi sociali e ambientali per evitare di far collassare (completamente) il nostro povero mondo.

Cosa farà la differenza fra un esito disastroso o uno virtuoso dell’azione di queste forze? Cosa è necessario per utilizzare queste forze in modo da costruire uno scenario positivo?

L’autrice ipotizza che servano, in ogni persona e nella società in generale, tre “salti”, ovvero tre passaggi dall’approccio di oggi ad un nuovo modo di pensare ed agire. I salti sono:

  1. Primo salto: abbandonare l’idea di competenze generaliste e sviluppare in maniera specialistica il proprio capitale intellettuale, con uno sguardo “olistico” (cioè che guarda al “complessivo”) e curioso. Acquisire vera “maestria” per un’attività che abbia un interesse reale per la società in generale e per il mercato del lavoro in particolare, e svilupparne tutte le possibili connessioni con gli altri ambiti. Solo una competenza approfondita e capace di connettersi/applicarsi in modo innovativo a nuovi problemi, permetterà a chi la possiede di stare con soddisfazione (ed una certa sicurezza!) sul mercato del lavoro futuro.

  2. Secondo salto: passare dall’individualismo ipercompetitivo del neocapitalismo alla messa in comune delle idee e delle capacità, coltivare un network umano e professionale fatto di condivisione della creatività, di impegno sociale e collaborazione. Così si mettono insieme le innovazioni, le risorse, le competenze, in sinergia invece che in competizione fra lavoratori di luoghi diversi. Ciò permetterà di lavorare in equipe/gruppi di lavoro sparpagliati in tutto il mondo, di essere coinvolti invece che esclusi dai processi di produzione attivi, superando lo svantaggio di essere residenti in un territorio arretrato od in recessione…

  3. Terzo salto: passare dal consumismo sfrenato alla sobrietà, ovvero privilegiare “l’essere” rispetto al “possedere”. Si tratta di individuare ciò che dà gioia e benessere, le situazioni e le persone piuttosto che le cose. Ciò permetterà di liberarsi dal circolo vizioso: più (desiderio di) consumo, più necessità di reddito, più necessità di lavoro, più fatica/frustrazione, più (desiderio di) consumo…

Di questi tre “salti”, almeno i primi due possono essere facilitati dall’azione degli operatori di politica attiva del lavoro, possono essere quindi oggetto di interventi di “policy” specifici. Certo si tratta di interventi che danno risultati in tempi medio lunghi, non sono sicuramente risolutivi, nel presente, della disoccupazione imperante.

Ma nel concreto? Come si attivano e si sostengono, oggi e con i lavoratori del 2013, questi due “salti”?

È aperta la riflessione…