La forza della resilienza.
Un nave per attraversare le tempeste di ogni giorno.

Un adulto che perde il lavoro, ma se ne inventa uno nuovo. Una famiglia che supera un grave lutto, ritrovando un nuovo equilibrio. Un bimbo che è stato maltrattato e poi abbandonato, ma nonostante tutto continua a ridere e a giocare con i coetanei. Un anziano che affronta una malattia, ma che trova la forza di vivere in modo attivo, nella sua comunità. Oppure, le stesse situazioni, ma senza lieto fine.
Che cosa accomuna tutte queste vicende?
LA RESILIENZA
Nel nostro mestiere di operatori sociali si fa spesso riferimento al concetto di resilienza per rendere ragione delle diversità individuali di fronte agli eventi traumatici: che distruggono alcuni, che feriscono molti, che per pochi sono un’opportunità imprevista ed inaspettata di raggiungere una nuova condizione di funzionamento, in genere con una maggiore benessere di vita della precedente. Un tema sicuramente di grande importanza per chi si occupa, come le cooperative, di persone in difficoltà!
IL SIGNIFICATO DEL TERMINE RESILIENZA.
La probabile etimologia latina della parola “resilienza” (da resalio = risalire sopra un’imbarcazione capovolta dalla forza del mare) dà suggestioni profonde alla nostra sensibilità di operatori…
Nel tempo la parola è stata adottata da diverse discipline, proprio per la suggestione e l’utilità del concetto. Il termine resilienza è usato comunemente dalla metallurgia, ed indica la capacità del metallo, sottoposto a tensioni e sollecitazioni istantanee o prolungate, di riprendere la propria forma primitiva, senza deformazioni permanenti.


LE FORME DELLA RESILIENZA.
DIVERSI CONTESTI, UNA FORZA COMUNE.
Per gli ingegneri, la resilienza è la capacità di un materiale di resistere a forze impulsive (cioè la capacità di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi).
Per gli informatici, ed i cibernetici, la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi alle condizioni d’uso e di resistere all’usura in modo da garantire la disponibilità dei servizi erogati.
Per gli studiosi di sistemi complessi, in ecologia e biologia, la resilienza è la capacità di un sistema complesso, di un ecosistema, inclusi quelli umani come le città, o di un organismo, di ripristinare l’omeostasi, ovvero la condizione di equilibrio del sistema stesso, a seguito di un intervento esterno (impulsivo o ripetuto) che può provocare un deficit ecologico, ossia l’erosione della consistenza di risorse che il sistema è in grado di produrre rispetto alla capacità di carico.
Infine, per gli psicologi, la resilienza è un concetto polisemico, che ha attinto a tutti gli altri campi, assumendone parti di significato: nelle “scienze umane” è concepito come la capacità dell’uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente. È la capacità di adattamento, di assorbimento dei traumi senza esserne distrutti, la capacità trasformativa dei dolori in energie positive di cambiamento.
Sinonimi di resilienza sono: elasticità, mobilità. È definibile anche come una somma di abilità, capacità di adattamento attivo e flessibilità, necessarie per adottare nuovi comportamenti una volta che si è appurato che i precedenti non funzionano.
RESILIENZA E VITA QUOTIDIANA.
Di certo ognuno di noi ha nel suo immaginario esempi di persone (particolarmente) resilienti: familiari, amici, colleghi, beneficiari del lavoro della cooperativa che, invece di essere distrutti da accadimenti improvvisi e dolorosi, hanno quasi magicamente “trasmutato” il “veleno” del trauma in un “melange” capace di amplificarne la sensibilità, acuirne le capacità, incrementarne la resistenza. Sarebbe interessante chiedersi se questa resilienza era prevedibile a priori, se è stata intuita e prevista grazie a segnali particolari… Sarebbe un’utilissima qualità da coltivare e selezionare, un carattere adattivo di enorme importanza per gli umani, in tempi difficili come questi in cui è molto facile cadere dalla condizione di vulnerabilità e rischio in quella di disagio, per colpa di eventi non prevedibili e non evitabili…
Quali siano le condizioni ed i requisiti per far emergere e sviluppare resilienza è un oggetto affascinante di riflessione, che ogni operatore che abbia a che fare con la sofferenza delle persone affronta quotidianamente: poiché il dolore è ineliminabile (al massimo lo si può ridurre…), ciò che fa la differenza è il modo di affrontarlo, il modo di andare oltre, superandolo…
UN FATTORE GENETICO, CULTURALE O COS’ALTRO?
La resilienza probabilmente è fatta, come molte altre caratteristiche individuali, di un mix di predisposizione genetica, di “struttura di personalità” e di cognizione: vi sono senza dubbio aspetti fisiologici (resistenza alla fatica, sensibilità al dolore, capacità di reazione improvvisa) e psicologici (struttura di personalità, autostima), così come aspetti indotti dall’imprinting familiare e dall’educazione ricevuta (come le competenze di “problem solving”); vi sono fattori culturali e religiosi (la rassegnazione e l’abbandono alla volontà di Dio, oppure la lotta contro le situazioni avverse?), così come condizioni ambientali (intendendo il contesto relazionale cui le persone appartengono…). Ma come questi diversi aspetti, ed in che misura ciascuno di essi, interagiscano per generare resilienza, rappresenta ancora un’incognita da esplorare.
EDUCARE ALLA RESILIENZA.
Un detto popolare, pieno di tautologica saggezza, dice che ciò che non uccide fortifica: una buona sintesi dell’effetto della resilienza in condizioni di stress! Ma certo non è un buon metodo sottoporre (o lasciare in balia) le persone di situazioni traumatiche per far emergere (eventualmente) la loro resilienza: conviene piuttosto “educarle alla resilienza”! Compito che in una cooperativa sociale come DSP si può svolgere meglio che in altri posti, perché tutte le attività sono pensate per supportare le persone nel fronteggiamento delle loro difficoltà di vita!